Novità sul lavoro a termine – primi chiarimenti

Il decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito dalla legge 9 agosto 2018, n. 96, con gli articoli 1 e 2 ha introdotto rilevanti novità alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, modificando il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
In proposito, con l’obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina e acquisito il parere dell’Ufficio legislativo espresso con nota del 30 ottobre 2018, si forniscono prime indicazioni interpretative, anche in considerazione delle richieste di chiarimento finora pervenute a questo Ministero.
1. Contratto a tempo determinato
Le modifiche alla disciplina previgente apportate dall’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 87 del 2018 riguardano in primo luogo la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato, con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti, o di periodi di missione in somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione (art. 19, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 81/2015).
Più precisamente, le parti possono stipulare liberamente un contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi, mentre in caso di durata superiore tale possibilità è riconosciuta esclusivamente in presenza di specifiche ragioni che giustificano un’assunzione a termine.
Tali condizioni, sono rappresentate esclusivamente da:
– esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
– esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
– esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Per stabilire se ci si trovi in presenza di tale obbligo si deve tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende eventualmente prorogare. Si consideri l’esempio di un primo rapporto a termine della durata di 10 mesi che si intenda prorogare di ulteriori 6 mesi. In tale caso, anche se la proroga interviene quando il rapporto non ha ancora superato i 12 mesi, sarà comunque necessario indicare le esigenze innanzi richiamate in quanto complessivamente il rapporto di lavoro avrà una durata superiore a tale limite, come previsto dall’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015.
La cd. “causale” è, infatti, sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.
Con l’occasione è utile ricordare che anche nelle ipotesi in cui non è richiesto al datore di lavoro di indicare le motivazioni introdotte dal decreto-legge n. 87, le stesse dovranno essere comunque indicate per usufruire dei benefici previsti da altre disposizioni di legge (ad esempio per gli sgravi contributivi di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, riconosciuti ai datori di lavoro che assumono a tempo determinato in sostituzione di lavorartici e lavoratori in congedo).
Il decreto-legge non ha invece modificato la previsione di cui all’articolo 19, comma 3, del d.lgs. n. 81/2015 ai sensi del quale, raggiunto il limite massimo di durata del contratto a termine, le stesse parti possono stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Anche a tale contratto si applica la nuova disciplina dei rinnovi, la quale impone l’obbligo di individuazione della causale, ai sensi degli articoli 21, comma 01, e 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015. Mantengono quindi validità le indicazioni a suo tempo fornite da questo Ministero con la circolare n. 13/2008 in ordine alla “verifica circa la completezza e la correttezza formale del contenuto del contratto”, nonché alla “genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge.”.
1.1. Proroghe e rinnovi
Anche il regime delle proroghe e dei rinnovi del contratto a termine è stato modificato dal decreto-legge n. 87, in ordine alla durata massima e alle condizioni (articoli 19, comma 4, e 21 del d.lgs. n. 81/2015 come da ultimo modificato), coerentemente con le finalità perseguite dalla riforma.
E’ pertanto possibile, come già detto innanzi, prorogare liberamente un contratto a tempo determinato entro i 12 mesi, mentre per il rinnovo è sempre richiesta l’indicazione della causale.
In proposito si ricorda che la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto.
Si ricade altresì nell’ipotesi del rinnovo qualora un nuovo contratto a termine decorra dopo la scadenza del precedente contratto.
Ulteriore novità è rappresentata dalla riduzione del numero massimo di proroghe, che non possono essere superiori a 4, entro i limiti di durata massima del contratto e a prescindere dal numero dei contratti (articolo 21, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015) e con esclusione dei contratti instaurati per lo svolgimento di attività stagionali (articolo 21, comma 01).
1.2. Rinvio alla contrattazione collettiva
L’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo n. 81/2015 non è stato modificato dal decreto-legge n. 87, nella parte in cui rimette anche per il futuro alla contrattazione collettiva la facoltà di derogare alla durata massima del contratto a termine.
Pertanto i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta all’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore, rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi.
Con l’occasione è utile precisare che le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che – facendo riferimento al previgente quadro normativo – abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.
Il decreto-legge n. 87, nell’introdurre le condizioni innanzi richiamate, non ha invece attribuito alla contrattazione collettiva alcuna facoltà di intervenire sul nuovo regime delle condizioni.
1.3. Forma scritta del termine
All’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015, con la eliminazione del riferimento alla possibilità che il termine debba risultare “direttamente o indirettamente” da atto scritto, si è inteso offrire maggiore certezza in merito alla sussistenza di tale requisito.
Viene quindi esclusa la possibilità di desumere da elementi esterni al contratto la data di scadenza, ferma restando la possibilità che, in alcune situazioni, il termine del rapporto di lavoro continui a desumersi indirettamente in funzione della specifica motivazione che ha dato luogo all’assunzione, come in caso di sostituzione della lavoratrice in maternità di cui non è possibile conoscere, ex ante, l’esatta data di rientro al lavoro, sempre nel rispetto del termine massimo di 24 mesi.
1.4. Contributo addizionale a carico del datore di lavoro
Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 87 (come modificato dalla legge di conversione), a decorrere dal 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del medesimo decreto), il contributo addizionale a carico del datore di lavoro – pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali applicato ai contratti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato – è incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
Ne consegue che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi.
La maggiorazione dello 0,5% non si applica in caso di proroga del contratto, in quanto la disposizione introdotta dal decreto-legge n. 87 prevede che il contributo addizionale sia aumentato solo in occasione del rinnovo.
2. Somministrazione di lavoro
L’articolo 2 del decreto-legge n. 87 ha esteso la disciplina del lavoro a termine alla somministrazione di lavoro a termine, già disciplinata dagli articoli 30 e seguenti del d.lgs. n. 81/2015.
In particolare l’articolo 34, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, così come novellato dal decreto-legge successivamente convertito dalla legge n. 96 del 2018, estende al rapporto tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore la disciplina del contratto a tempo determinato, con la sola eccezione delle previsioni contenute agli articoli 21, comma 2 (pause tra un contratto e il successivo, c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza).
Giova, invece, precisare che nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. Pertanto in questo caso, ai sensi dell’articolo 31 del citato decreto legislativo n. 81, tali lavoratori possono essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza obbligo di causale o limiti di durata, rispettando i limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione.
2.1. Periodo massimo di occupazione
L’estensione, operata dal decreto-legge n. 87, delle disposizioni previste per il contratto a termine anche ai rapporti di lavoro a termine instaurati tra somministratore e lavoratore ha lasciato inalterata la possibilità, riconosciuta alla contrattazione collettiva, di disciplinare il regime delle proroghe e della loro durata (art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015).
In proposito occorre anche considerare che per effetto della riforma l’articolo 19, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 è adesso applicabile anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Ne consegue che il rispetto del limite massimo di 24 mesi – ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva – entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale.
Pertanto, il suddetto limite temporale di 24 mesi opera tanto in caso di ricorso a contratti a tempo determinato quanto nell’ipotesi di utilizzo mediante contratti di somministrazione a termine. Ne consegue che, raggiunto tale limite, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale.
Inoltre, si chiarisce che il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma.
2.2. Condizioni
Le novità introdotte dal decreto-legge n. 87 riguardano anche le condizioni che giustificano il ricorso alla somministrazione a termine in caso dei contratti di durata superiore a 12 mesi e dei relativi rinnovi. In proposito, come già richiamato innanzi, occorre considerare che ai sensi dell’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge, le condizioni introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettere a) o b) del decreto-legge n. 87 si applicano esclusivamente con riferimento all’utilizzatore.
Pertanto, in caso di durata della somministrazione a termine per un periodo superiore a 12 mesi presso lo stesso utilizzatore, o di rinnovo della missione (anche in tal caso presso lo stesso utilizzatore), il contratto di lavoro stipulato dal somministratore con il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo. A questo proposito è utile precisare che, invece, non sono cumulabili a tale fine i periodi svolti presso diversi utilizzatori, fermo restando il limite massimo di durata di 24 mesi del rapporto (o la diversa soglia individuata dalla contrattazione collettiva).
In proposito, si evidenzia che l’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge non solo quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore aveva instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria.
Pertanto:
– in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 12 mesi, un eventuale periodo successivo di missione presso lo stesso soggetto richiede sempre l’indicazione delle motivazioni in quanto tale fattispecie è assimilabile ad un rinnovo;
– in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata pari a 12 mesi, è possibile svolgere per il restante periodo e tra i medesimi soggetti una missione in somministrazione a termine, specificando una delle condizioni indicate all’articolo 19, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015;
– in caso di un periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi indicando la relativa motivazione.
2.3. Limite quantitativo di lavoratori somministrati
La legge di conversione del decreto-legge n. 87 ha, per la prima volta, introdotto un limite all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine. Infatti, il nuovo articolo 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 prevede la necessità di rispettare una proporzione tra lavoratori stabili e a termine presenti in azienda, ancorché derogabile dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore.
Il novellato comma 2 stabilisce che, ferma restando la percentuale massima del 20% di contratti a termine prevista dall’articolo 23, possono essere presenti nell’impresa utilizzatrice lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori inviati in missione per somministrazione a termine, entro la percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore.
Anche in questo caso resta ferma la facoltà per la contrattazione collettiva di individuare percentuali diverse, per tenere conto delle esigenze dei diversi settori produttivi. In tal senso si può ritenere che i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta nell’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza del contratto collettivo, sia con riferimento ai limiti quantitativi eventualmente fissati per il ricorso al contratto a tempo determinato sia a quelli fissati per il ricorso alla somministrazione a termine.
Il limite percentuale del 30% trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018. Pertanto, qualora presso l’utilizzatore sia presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data antecedente alla data del 12 agosto 2018, superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza. In tal caso, pertanto, non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.
Continuano a rimanere esclusi dall’applicazione dei predetti limiti quantitativi i lavoratori somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie richiamate all’articolo 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 (quali, a puro titolo di esempio, disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, soggetti svantaggiati o molto svantaggiati).
3. Periodo transitorio
L’articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 87/2018 aveva stabilito l’applicazione delle nuove disposizioni ai contratti di lavoro a termine stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data.
In sede di conversione l’originaria previsione del citato comma 2 è stata modificata unicamente con riferimento al regime dei rinnovi e delle proroghe, prevedendo che per tali fattispecie la nuova disciplina trovi applicazione solo dopo il 31 ottobre 2018, volendo in tal modo sottrarre i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla immediata applicazione dei nuovi limiti. Fino a tale data, pertanto, le proroghe e i rinnovi restano disciplinati dalle disposizioni del d.lgs. n. 81/2015, nella formulazione antecedente al decreto-legge n. 87.
Terminato il periodo transitorio introdotto dalla legge di conversione, dalla data del 1° novembre 2018 trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l’obbligo di indicare le condizioni in caso di rinnovi (sempre) e di proroghe (dopo i 12 mesi).
Infine, nel rilevare che il decreto-legge n. 87 ha esteso il regime del contratto a tempo determinato anche ai rapporti di lavoro in somministrazione a termine, si può ritenere – in base ad una lettura sistematica – che tale periodo transitorio trovi applicazione anche con riferimento alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. È infatti ragionevole concludere che i più stringenti limiti introdotti rispetto alla disciplina previgente operino gradualmente, sia nei confronti dei rapporti di lavoro a termine che nei confronti dei rapporti di somministrazione a termine.